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sabato 6 settembre 2014

Dalla necessità di cambiare, alla costruzione di una società a dimensione umana.

Le notizie che vorrebbero i Paesi della comunità europea in crescente deflazione impongono certamente delle riflessioni e soprattutto l’individuazione di un’uscita di sicurezza da una situazione di stato economico di sicuro tracollo. Da qui la necessità di individuare un nuovo percorso partendo dalla considerazione che sempre più esigue sono le espressioni individuali ovvero di gruppo capaci di generare lavoro collettivo.
La deflazione, in questa fase, dovrebbe essere vista come un momento salvifico per far cambiare rotta a un’economia deficitaria, la quale, se dovesse continuare nella stessa direzione condurrebbe a una spirale di declino e di dissolvimento della nostra comunità.
Il fenomeno deflativo che sta iniziando a pervadere la nostra società impone la nascita di una nuova fase economica che potrebbe essere suddivisa in due periodi. Il primo, segnato da un nuovo modo di interpretare il capitalismo, che definirei “capitalismo ragionato e organizzato”, cioè un capitalismo guidato e cosciente della necessità di superare il carattere spontaneo di tutti i processi economici che sono sotto gli occhi di tutti.
Questa nuova via avrebbe certamente molti nemici in particolare quei tanti pensatori e capitalisti neoliberisti che pensano di non volere altri vincoli se non quelli dettati dal libero mercato. Occorrerebbe, quindi, avviare una fase in cui lo Stato esercitasse un ruolo interventista in economia divenendo esso stesso consumatore dei prodotti nazionali (ad esempio tramite commesse pubbliche) e facendo dello sviluppo industriale uno dei compiti politici di primaria importanza.
È nella seconda fase che si dovrebbe realizzare la vera costruzione di una nuova società, non solo economica ma soprattutto politica. Occorrerebbe che ciascuno Stato, nell’ambito di un progetto politico federativo di stampo europeistico, si riappropriasse della propria sovranità, elargita con troppa facilità; a proposito bene hanno fatto gli inglesi a non concederla, e, proseguendo sui principi fondanti della prima fase, abbracciare un’economia di stampo “comunitarismo democratico” a condizione che si lasci alle spalle le esperienze tremende dei comunismi storici novecenteschi che nulla avevano in comune con le idee espresse da quei filosofi tedeschi, prima Hegel poi Marx che, invece, svilupparono una filosofia innovativa, profonda e articolata tale da rivoluzionare il pensiero filosofico europeo.
Si tratterebbe di declinare l’idea di una comunità umana, composta da individui uniti da rapporti liberi, solidali e all’insegna del riconoscimento reciproco, puntando sull’individuo comunitario ma non su una totalità livellata. Bisognerebbe pensare ad un “comunitarismo” rispettoso dell’individuo e delle differenze, in una comunità umana in cui si è liberi solo se tutti lo sono.
A compimento delle due fasi si aprirebbe una nuova stagione politica, un nuovo modo di pensare la società che non potrebbe non passare dalla necessità di affermare la centralità della persona. I risultati dell’attuale crisi sono essenzialmente dovuti al fatto che si è perso di vista il rapporto essenziale tra economia e persona umana, e ignorato il fatto che l’economia dovrebbe essere al servizio della vita delle persone e della comunità e non, invece, al servizio di pochi potenti, ovvero di quanti hanno trascinato la nostra società sull’orlo del baratro.
Si dovrebbe trarre un profondo insegnamento da ciò che gli ultimi venti anni di vita politica, del nostra comunità sovra e nazionale, della nostra regione, della nostra città, ci hanno lasciato non solo come idea ma anche come sostanza pratica per non commettere gli stessi errori.
L’auspicio è la nascita di una nuova classe dirigente, capace di interpretare questi principi e fondare la propria azione su valori quali insegnare alle nuove generazioni a vivere il senso della propria città, della propria regione, del proprio Stato; a vivere il senso dell’altro ma soprattutto mettendo l’uomo al centro di ogni costruzione sociale, politica ed economica.
Una cosa comunque deve essere chiara, non possiamo non spenderci, tutti insieme, nella costruzione di un dialogo costruttivo affinché la realtà assuma un’altra forma, un’altra dimensione, allo scopo di non consentire che il futuro, come dimensione sociale di progettazione, possa eclissarsi.